Flashback (Serpenti e piercing)

Qualche mese fa ho avuto l’inutile idea di creare una mailing list in cui leggere libri in compagnia degli iscritti. Inutile perché dopo due libri ci siamo arenati in noi stessi e alla fine ognuno ha ripreso il proprio percorso di lettore in solitudine. Probabilmente il tutto si è affossato anche per evidente incapacità della sottoscritta di trascinare e coinvolgere nella lettura.

Questo prologo per introdurre il termine di "adolescenti disturbate" , utilizzato da un (illustre) allora partecipante alla mailing per tentare di inquadrare un certo recente filone di scrittura.

Tutte femmine e tutte ragazzine, o pressappoco, e invariabilmente intenzionate a descrivere complicazioni amorose, disagi sessuali, mal di vivere e impossibilità di comunicare. Per tutto questo la soluzione è stupire, scandalizzare.

Fioriscono romanzi notturni, promiscui, sofferti.

Serpenti e piercing no. Non è uno di questi, e sono contenta di dirlo ad alta voce anche solo per il gusto di smentire catalogazioni, facili inserimenti in termini coniati di fresco che un po’ puzzano di generalizzazione.

Letto, subito piaciuto al punto da terminarlo troppo in fretta, sentito mio e pertanto tenuto dentro, guai a parlarne.

Ho evitato di calarmi in interpretazioni, non conosco la cultura giapponese a sufficienza, mi bastava la convinzione che certe sensazioni sono universali, empaticamente comuni a tutti gli esseri della terra, con tutte le loro squisite distinzioni culturali, religiose, sessuali, morali, etiche, geografiche, sociali, filosofiche (continuo?).

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Quando, passeggiando per il centro di Milano, ho visto un giovane con la testa rasata e tatuaggi a spuntare da una maglietta, la prima cosa che ho notato è stato il disegno sulla t- shirt nera: la copertina del libro.

La stessa maglietta, qualche tempo dopo, indosso ad una biondissima e sciccosa ragazzina.

Una sera, alle "Iene", un servizio per illustrare una recente esposizione di tatuaggi e piercing mostrava un ragazzo dalla lingua biforcuta, con strani innesti nelle braccia e sulla testa (ricordavo un paio di corna così, era un’artista se non sbaglio). Lo sguardo del giornalista: allibito.

A distanza di qualche mese, mi capita sottomano una rivista di viaggi. Andiamo tutti a Tokio!

In fondo all’articolone che occupa quasi tutto il numero, un réportage satellite che desidera illustrare l’aspetto letterario della metropoli.

"Serpenti e piercing, inquietante ritratto di una certa gioventù nipponica che reagisce al conformismo della società muovendosi indifferente tra omicidi, sesso sadomaso, tatuaggi e piercing estremi fino alla trasformazione del proprio corpo (per esempio la lingua biforcuta)."

D’accordo, due colonne per narrare quattro libri sono poche, e forse non era possibile fare di meglio per inquadrare la storia. Probabilmente il servizio delle Iene era superficiale e riempitivo, generalizzante in ogni caso. E la definizione di "adolescenti disturbate" non sarà poi meno didascalica di quella di "gioventù cannibale", inventata qualche tempo fa per l’italianità Pulp di Ammaniti e compagni. (Anche leggere le recensioni su Internet non è meno irritante, tutta una sequela di condanne all’opportunismo della scrittura che vuole scandalizzare, tutto uno sciorinare giudizi negativi per chi interviene sul proprio corpo in sostituzione di un Dio che non lo autorizza.)

Lo ammetto: il fatto che ora mi ci metta io a scriverne non cambierà la situazione, però la quantità di coincidenze incontrate per la via mi ha perlomeno messo voglia di tentare.

Luì non è indifferente. Al contrario. Il tatuaggio, la modificazione corporale sono strumenti per parlare, sono tentativi per ottenere visibilità, oltre che un posto nel mondo. Un posto che magari non si vorrà focalizzare sotto un riflettore, ma piuttosto in una linea scura ("Se in questo mondo non esiste posto senza la luce del sole, allora sarò io a cercare un modo per farmi ombra.").

Il tatuaggio come lo split tongue sono simboli di un potere decisionale che ci si assume nei confronti del nostro corpo, una scelta irrevocabile, da vedere sotto l’aspetto del desiderio di FARE qualcosa, e non come gesto di distruzione di qualcosa di bello.

A dimostrare questa teoria c’è la sorprendente leggerezza con cui tutto il romanzo è scritto, leggerezza che si prova anche nella lettura, nonostante sia vero che affronta in alcune parti argomenti non proprio lievi, come la ricerca del dolore, nel sesso e al di fuori, la morte, la disperazione per la perdita di una persona che si ama.

hitomi

La leggerezza non è indifferenza, è capacità farsi permeare dalle emozioni senza troppi contorcimenti.

kanehara

"Quando ho letto il romanzo la prima volta mi ha colpito la sua "tristezza". Non si tratta del mondo dei suoi giovani protagonisti, è piuttosto l’intera opera che fa della tristezza un’astrazione. Solo un vero talento può riuscire a scrivere un romanzo del genere". Ryu Murakami

06.07.2006

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4 commenti su “Flashback (Serpenti e piercing)

  1. Invece fai venire voglia di leggerli, quei libri.

    (Confesso, ho un tatuaggio anch’io…pazienza)

    Ciao

  2. Non ho letto il libro di cui parli e credo francamente che non andrò a cercarlo in libreria. L’argomento non è dei miei preferiti.

    In merito al fenomeno a cui stiamo assistendo di, come la chiamo io, “devastazione corporea” ho una mia personale idea che non collima di certo con l’odierno pensare comune. Sfigurare, sfregiare, imbruttire, deformare o quantomeno alterare la normale struttura del corpo è uno scempio alla natura stessa ed uno schiaffo a chi suo malgrado ha il corpo mutilato per cause avverse.

    Coloro i quali credono di distinguersi usando la modificazione corporale, ritenendo inoltre di aver inventato uno strumento nuovo per parlare e denunciare chissà quali gherminelle, hanno in mente una sola cosa: ottenere visibilità e notorietà, alla stregua delle aspiranti veline o delle ambizioni di partecipazione ai vari reality.

    Peccato che ormai sono talmente tanti gli esseri che, non avendo nulla da dire, hanno lasciato parlare il loro corpo, o meglio la stravaganza del tatuatore, che intorno a loro si è creato un silenzio surreale, quello che ti viene spontaneo quando te li trovi di fronte. Sono talmente tanti che, se prima bisognava mutilare il corpo per essere riconosciuti, oggi bisogna invece essere normali e naturali per essere notati!

    Non li condanno perché, nella loro pur flebile lucidità mentale, hanno fatto una scelta, irreversibile ma libera…

    …a pensarci bene forse la decisione non è poi così libera, visto e considerato che è stata dettata dal branco che segue imperituramente le mode.

    Le voghe però passano, loro invece restano… deturpati a vita!

    Mi sento però di rincuorarli: aspettate, tra una ventina di anni la moda tornerà ed allora sarete nuovamente sulla cresta dell’onda!

    Si… con qualche ruga in più e… con i chili di troppo che avranno conferito nuova “forgia” alle allegorie riportate sul vostro corpo!

    La ferraglia conficcata nel corpo… mi auguro che negli venga sostituita… con tanti nodi di saggezza.

    Volevo scrivere due sole righe e mi sono invece lasciato prendere la mano…

    Mi sa che di questa mia osservazione ne farò un post!

    Ciao

    Francesco

  3. Buon post, Francesco… Io chioserò semplicemente con un “il mondo è bello perchè è vario!”

    Io avrei sempre voluto un piercing o un tatuaggio, ma sono sempre stata convinta di non avere il fisico per permettermelo… Come vedi forse non è questione di moda o di seguire il branco, ma spesso solo di buon gusto o assenza dello stesso… Sono comunque convinta che il libro avesse altri messaggi che non quelli della mera estetica. E’ anche vero che non recepiamo tutti gli stessi stimoli.. O spesso non ammettiamo di sentirci smuovere. (Una decina di anni fa, ormai, andavo pazza per un corriere della Traco che portava un piercing al sopracciglio. Ogni volta che arrivava, firmavo con l’occhio fisso su quel pallino di metallo, era più forte di me. Non ho mai ammesso di fronte ai colleghi la mia passione, soprattutto quando loro si concentravano nello sfottere.)

    Anc’io volevo scriver due righe e poi mi sono dilungata, anche se non a sufficienza, mi sa.

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